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Positivity Snowboard Camp 2014
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Positivity Snowboard Camp 2014
Pubblicato il 25/06/2014
(ultima modifica: 17/10/2014)
Sì è da poco concluso il camp di snowboard in Alta Formazza (Nord Piemonte) dietro il Ghiacciaio del Siedel, e col pensiero continuo a tornare sulle bellissime immagini, impresse come fotografie nella mia mente, di questa straordinaria esperienza.

Verso la valle incantata
E' venerdì mattina 13 Giugno, e nella strada verso la Valle Formazza, il grigio delle costruzioni fa posto sempre più alle tonalità verdi e marroni della natura e, ovviamente, al bianco della nostra amata neve, che grazie alle abbondanti nevicate invernali e primaverili si riesce a scorgere già da valle, facendomi pregustare le condizioni ottimali del manto nevoso. La voglia di allacciarmi la tavola inizia a salire. "Attacco" un po' di musica tosta per sbollire l'ansia: e via con gli Iron Maiden (l'averli ascoltati LIVE due settimane prima al Rock In Idro di Bologna è decisamente una prova del mio più profondo e malato rientro nel tunnel adolescenziale di questi mostri sacri).
La strada grigia serpeggia tra i primi rilievi montuosi, laghi e gallerie e nella mente sto già "staccando" la spina.
Sono da solo, ma devo parteciparvi, la voglia di snowboard è troppa, forse da passione sta diventando mania, e in effetti il confine tra le due è molto sottile... ma non importa, conoscerò sul posto altri ragazzi con tavola al seguito.
Il viaggio fila liscio che è una favola, senza traffico e sotto un cielo azzurro, poi la strada inizia a salire e senza accorgermene inizio a premere un poco di più l'acceleratore (nei limiti consentiti): che voglia!!!
Imbocco una galleria che sale a chiocciola dentro una montagna, piccolo prodigio ingegneristico e poi ancora su fino alle Cascate del Toce: qui la pausa foto con lo smartphone è d'obbligo.
Evito il selfie perché ormai inflazionato (e tanto ne farò mille mila con la GoPro una volta "legati" i piedi alla tavola).
Proseguo, ormai manca poco.
Supero la Chiesa di Riale, solitaria sul suo rilievo, e proseguo oltre la diga del Lago di Morasco imboccando una strada sterrata che lo costeggia: le ultime centinaia di metri, che il mio Toyota RAV 4 D-4D 3 porte del 2002 affronta in totale sicurezza permettendomi di schiacciare un poco il pedale e godermi questo mini off-road dei poveri: "Niko rallenta che non c'è il parapetto...!"
Ad un tratto compaiono gli impianti Enel e un parcheggio colmo di macchine e colori: sono gli altri partecipanti che stanno radunando gli zaini e le tavole da spedire su con la teleferica.
Scendo dall'auto, timidamente faccio le prime presentazioni, e accumulo anche io il grosso che dovrà essere spedito su al rifugio: si viaggia leggeri!
Tre ore e mezza / quattro di cammino ci separano dal Rifugio 3A posto a 2960metri sul livello del mare e che ci ospiterà in questa piccola avventura sportiva ma, a quanto pare, prima si mangia: alcuni ragazzi cercano volontari per finire gli avanzi di cibo dei loro viaggio in auto, e sono tanti!
Rifiuto il bis solo perché anche io ci avevo già dato dentro nel mio viaggio...

Il cammino verso il rifugio 3A
Berretto, occhiali, zainetto in spalla: si parte.
Una piccola discesa e un soffice prato verde pianeggiante ci conducono subito verso un ruscello, abbiamo fatto 30 metri: ok la parte easy è finita.
Davanti a noi la montagna sale in verticale. Sul primo cucuzzolo si intravedono le sagome di due ragazzi partiti circa mezzora prima, eppure sono già là. La prospettiva inganna... credo! Mi tranquillizzo un poco.
Mi ritrovo ad essere il primo della fila e a dare il passo: eh andiamo!
Non sono mai stato qui in vita mia ma il sentiero è tracciato, ben visibile e si inerpica roccioso sulla montagna.
Nell'ascesa cerco di tenere un ritmo costante e con me alcuni ragazzi, mentre per altri non c'è niente da fare da subito: le prime imprecazioni potenti all'Altissimo. C'è chi ne invoca l'aiuto divino, e chi lo maledice da subito senza pietà.
Il primo sorrisetto compare sul mio volto; e pensare che inizialmente credevo sarei stato l'ultimo della "carovana".
La salita è tosta ma il paesaggio ripaga costantemente e la fatica "quasi" (evidenziamolo bene questo "quasi") non si sente.
Alcuni tratti obbligano l'appoggio delle mani a terra così da far cadere l'occhio sulle numerose tane di marmotta che pare abbiano crivellato la montagna, o per lo meno, il terreno lungo il sentiero.
Il primo step è un "baitello" in legno e pietra che mi permette di riprendere fiato, reidratarmi, scroccare un po' di crema solare puntualmente dimentica nello zaino a valle(e che reincontrerò solo alla sera) e strizzare la maglietta di cotone (mea culpa) totalmente fradicia sulla schiena per via dello zaino la cui traspirabilità pari a zero è stata appena dimostrata.
E poi ancora su verso il secondo step: la pendenza del sentiero è sempre "importante" e lo sguardo rimane sempre attento a dove si mettono i piedi, quando scorgo una pietra trasparente: "ho trovato un diamante!!!".
"Ora potrò ritirarmi a vita e non fare un cazzo come ho sempre desiderato!".
Datti una calmata Niko, è solo un sassolino di quarzo e vale quanto i calzini sudati che stai indossando.
Lo raccolgo e proseguo, fino a giungere al rifugio "Città di Busto".
Da sportivo tecnologico mi accingo a controllare tramite l'app. "Endomondo" il passo medio, i metri di dislivello percorsi, una statistica delle calorie bruciate: non l'avevo fatto partire.
Perfetto. Chiedo consiglio sulle imprecazioni usate dai ragazzi precedentemente durante la faticosa salita.
Sbollita subito la mia dimenticanza è ora della "siesta"! Si Mangia. Dopo un iniziale e collettivo rilassamento con lancio delle scarpe e piedi scalzi sul terreno, viene allestito un piccolo banchetto: formaggio stagionato, torta, focaccia, pizza e vinello.
Ci si tratta bene!
Nel relax più totale scopriamo che fino al tardo pomeriggio il gatto delle nevi, disponibile per l'ultimo tratto innevato, non si muoverà, perciò ci si mette in cammino il prima possibile per conquistare il rifugio con le proprie forze.
Tenendo la morena che scende a valle sulla sinistra e la Piana dei Camosci a destra, si percorre una sorta di cresta pianeggiante in cui lingue di neve iniziano a rallentare un poco il cammino e fiori dai colori assolutamente VIVI ci distraggono e invocano l'utilizzo di una fotocamera. Anche la mia pelle inizia a colorarsi ma mai come quella di altri ragazzi, ormai rosso vivo: anche loro senza crema! Io almeno una fattore di protezione 10 l'ho recuperata alla prima sosta da un gentile compagno di viaggio, meglio che niente!
Alla fine della piana, un tratto dalla pendenza elevata, subito superato con decisione per porre fine alla sofferenze il più in fretta possibile; ed ecco che si intravede il gatto "parcheggiato" alla fine della pista sciabile.
Ci siamo quasi! O meglio.. è quello che mi ripeto!
Non è tanto la fatica, quanto il sole che picchia come un faretto da interrogatorio, il riverbero di luce sul fondo bianco che stordisce un poco nonostante gli occhiali, l'acqua nello zaino ormai finita e... sì, ammettiamolo, anche la fatica!
A cui suppongo si debba moltiplicare per il fattore vinello del pranzo...
I passi, sulla neve, sono decisamente più lenti ora e ogni tanto ne parte qualcuno di break dance per non volare a terra di faccia.
Siamo ormai nel park; salendo scrutiamo le strutture di neve e legno che ci accompagneranno nelle nostre sessioni di snowboard: vale la pena fermarsi per guardarle meglio... non sono ancora finite... ma sono bellissime! Io mi fermerei ancora un poco... ad ammirarle eh! (e prendere quella boccata d'aria in più e dare un attimo di tregua ai quadricipiti per affrontare la prossima dozzina di passi prima di fermarmi nuovamente! ... e ripetere il ciclo... con o senza strutture da ammirare!!!)
L'ultimo sforzo nella neve profonda, fortunatamente già tracciata, ed eccoci al rifugio: bellissimo, purissimo, inculatissimo.
A raffica una serie di foto del panorama: dalle vette innevate che mi circondano al "Lago dei Sabbioni" ancora ghiacciato nonostante sia estate!
Il posto è STU-PEN-DO.

Un camp a misura di snowboarder
Tolti gli scarponcini da trekking e infilate le pantofole del rifugio, mi sento già a casa. Ecco che si presentano gli shaper del park e organizzatori dell'evento, tra cui pro rider italiani molto alla mano con cui puoi da subito dire qualche fesseria: non vedo l'ora di girare con loro! Ammazza se bruciano i quadricipiti... ok facciamo domani va!
Si alza un vento freddo meglio entrare al caldo nello "stanzone" principale e conoscere meglio gli altri ragazzi; nel frattempo arrivano anche gli ultimi partecipanti e in contemporanea gli zaini e le tavole dalla valle tramite funicolare.
Vengono assegnate le stanze: sono al secondo piano mansardato, circondato da legno e due letti a castello: la mia camera è caldissimerrima!!! Spettacolo.
Lo stanzone principale di accoglienza è quella in cui tutti ci si ritrovano per colazione, pranzo e cena ed eventualmente dopo cena (sempre se non scatta l'operazione "Lobotomy Room" nell'edificio accanto, ma questa è un'informazione riservata...)
La vita al rifugio e nel park è qualcosa di magico e si incastra perfettamente con l'orologio di un tavolaro, con l'orologio di chi cerca divertimento e relax, con l'orologio di chi cerca la libertà più totale.
Ecco il programma delle mie tre (purtroppo poche ma pienissime) giornate a seguire:
  • ore 08:00 sveglia (grazie ai raggi di sole dalla finestra)
  • ore 08:15 colazione e cazzeggio potente (con tanto di relax a letto)
  • ore 09:30 vestizione e park a gasare!
  • ore 13:00 rimozione scarponi e calze e tutti al rifugio per il pranzo
  • ore 14:00 cazzeggio potentissimo con un paio di chitarre e relax a letto again!
  • ore 15:30 park! la prima run sempre con le gambe un po' incementate, ma visto il divertimento, già dalla seconda si vola!
  • ore 18:30 rientro, birretta e cazzeggio maestoso
  • ore 20:30 cena: le portate sono intervallate dal grido: "alegar e 'n gamba!"
  • ore 22:00 cazzeggio soft (siamo un po' tutti piegati dalle fatiche, a parte chi ancora tiene botta, nel senso che la botta se la tira in Lobotomy! "Giusto Main???")

La vita in park è fatta di supporto reciproco, trick belli e altri improbabili, sempre col sorriso e la voglia di spaccare a qualsiasi livello. Gli snowboarder sono una grande famiglia.
Tra sessioni spezzafiato (cavolo se si fa sentire l'altitudine) e scatti rubati a chi sa girare alla grande, le giornate letteralmente volano, ma sono vissute in pieno!

I saluti e l'intrepido rientro
Il momento purtroppo è quasi giunto. Ma fino all'ultimo giro come non ci fosse un domani nonostante il programma sia quello di partire nel primo pomeriggio. Non ce la faccio. I nuovi amici, tutti pronti a gasarti, quei kicker semplicemente perfetti, e la neve che si tiene in temperatura grazie alle nuvole passeggere e quella insensata e improvvisa voglia di rail mai avuta prima e stranamente comparsa prima di andarmene.
Voglio restare!!!
Ahimè debbo partire. Assieme a me un altro rider che l'indomani tornerà a lavorare (come il sottoscritto).
Stringo la mano e do il pugno ai ragazzi che mi hanno accompagnato in questa splendida avventura, zaino in spalla, tavola agganciata, casco ben allacciato, luci accese anche di giorno e prudenza, SEMPRE!
Per il rientro, si è scelto di fare i tratti innevati con la tavola, mentre ad essere spedito con la funicolare solo il grosso bagaglio per la vita nel rifugio.
La neve mano a mano che si scende si fa sempre un pochino più pesante, ma le folate di vento freddo prontamente la ritrasformano per consentirci di proseguire abbastanza velocemente.
Terminato il ghiacciaio del Camosci, giungiamo alla Piana omonima, ci si sgancia dalla tavola e procediamo a piedi fino al Città di Busto. I telefoni tornano ad avere ricezione, ma non mi importa: voglio godermi questi momenti con la natura, senza mail, messaggi o sms...
Piccola sosta con bevuta e di nuovo in marcia, ma, rispetto all'andata, questa volta seguendo un altro percorso che dovrebbe portarci verso nuove lingue di neve snowboardabili.
Giunti alla fine del crinale scrutiamo i pendii alla ricerca del nuovo sentiero: nemmeno l'ombra di questo. Ciononostante scegliamo la discesa innevata più vicina e una volta riagganciata la tavola si parte: è un freeride incredibile, in mezzo al nulla, con una parete rocciosa da una parte e un prato vellutato dall'altro e noi in mezzo a questa lingua di neve, liberi, con un sole che scompare dietro le vette mentre scendiamo a valle.
Questa è poesia.
La gioia di questa discesa, accompagnata da gridi e risatine bambinesche, si interrompe alla fine della neve, e con l'inizio di un primo vero e imprevisto ostacolo: un baratro!
Ci guardiamo ed esclamo: "abbiamo cazzato in pieno e siamo anche abbastanza nella merda". Davanti a noi finisce tutto ciò che può essere percorribile anche a piedi, mentre guardando a sinistra, un po' più lontano, una bella discesa innevata che arriva comoda comoda alla vallata sottostante, così vicina, eppure così lontana ora!
La salvezza sta alla nostra destra ma dobbiamo guadagnarcela: sganciamo la tavola, e avanziamo, dove poco più in là una lunga pietraia instabile e dalla pendenza preoccupante, ci separa da un manto erboso che già ci rassicura un poco, e che dovrebbe portarci giù.
Dopo diversi scivoloni sull'erba umida e interminabili zig-zag, per ridurre la percezione dei gradi di inclinazione del terreno, riusciamo ad avanzare decisi, finché non giungiamo nella valle.
Il posto è incredibile: non c'è anima viva, siamo in un grande spiazzo pianeggiante, letteralmente accerchiato dai monti che lo fanno sembrare minuscolo, come minuscoli e soli risultiamo di conseguenza noi. Rimaniamo un attimo fermi per riprendere fiato e a gustarci il fragoroso silenzio.
Ci orientiamo col tramonto e la memoria geografica in direzione della diga (senza fare i "gaseous" è l'unica direzione in cui si possa procedere), quando ecco comparire un cartello e finalmente il sentiero che avevamo smarrito: ancora 1h di cammino circa.
Chiacchierando del più e del meno e della discesa appena conclusa, che nonostante l'errore si è rivelata divertente e avventurosa, ecco comparire il lago di Morasco e subito dopo le nostre auto in lontananza.
Manca poco, intanto ripenso ai lunghi eppure brevi giorni appena trascorsi, alla fatica fatta per raggiungere il 3A e a quanto poco invece ci abbiamo messo adesso (nonostante l'incidente di percorso, cioè quello sbagliato!) a coprire quello che all'andata era stata una sfacchinata di quattro ore.
Sia chiaro: camminata piacevolissima e che rifarei mille altre volte ancora, senza dubbio alcuno.
Quando penso che il viaggio sia finito ecco che la "valle incantata" ha ancora qualcosa in serbo: una serie di fischi potenti, e in lontananza si intravede una marmotta, che sta allertando le sue simili. Finalmente vedo un cacchio di animale!!!
Ma come se non bastasse ecco che il mio compagno di viaggio mi indica tre stambecchi che attraversano in tutta semplicità la pietraia, un tratto che noi con immensa fatica e paura di morire abbiamo superato con difficoltà: maledetti!!!
Arrivo alla teleferica, recupero lo zaino, nascosto dietro un cancelletto dai volontari dell'impianto, e una volta salutato il compagno di avventura, lancio letteralmente tutto in auto, pronto a tornare a casa per raccontare a tutti la splendida esperienza!

La domanda ora è: quando si torna???


Ecco il video della stagione 2014:


Autore:
Nicola Turco


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