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Crescita muscolare: linee guida per un allenamento intelligente
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Crescita muscolare: linee guida per un allenamento intelligente
Pubblicato il 26/02/2014
(ultima modifica: 03/03/2014)
Dallo “spingi sempre alla morte” alla cura della tecnica e della programmazione.

Partiamo da un presupposto: il principiante cresce (quasi) con qualsiasi cosa.
Ma per quanto effettivamente tutto all'inizio possa funzionare, senza una metodologia che segua una certa logica, i miglioramenti iniziali saranno sempre meno evidenti, fino a che si arriverà ad un’inevitabile situazione di stallo.

Molto spesso la regola che i frequentatori delle palestre seguono (indirizzati dai vari istruttori) è di arrivare “cotti” all'ultima ripetizione della serie, di settare il peso in modo che appunto si possa eseguire il numero di ripetizioni stabilite ma non si sarebbe in grado di farne una di più.

Già applicare questo concetto sempre è errato, ma tipicamente si vede anche di peggio: il ragazzino di turno si mette alla panca piana dicendo all'istruttore “devo farne 8”, stammi dietro…
Le prime 4 ok, la quinta inizia ad andar su a fatica.
Nella sesta l’istruttore deve mettere le mani sotto e dare un leggero aiuto, nella settima l’aiuto diventa notevole, l’ultima diventa praticamente una ripetizione di curl per l’istruttore, altrimenti il ragazzino sulla panca rimarrebbe sotto al bilanciere.
Ecco, questo non è un metodo intelligente.

Come già ho detto il tirare sempre tutto alla morte all'ultima ripetizione è già una pratica che può rivelarsi errata quando il carico è settato in maniera “giusta”, cioè da arrivare al pelo all'ultima, pensare quando il carico è sovrastimato...

Più avanti parlerò di cheating, cioè la pratica del barare per arrivare a chiudere lo stesso una serie dove il peso è maggiore del dovuto, ora vediamo perché spesso viene consigliato il cedimento e perché non sia in realtà la soluzione migliore.

La pratica del “picchia duro, esaurisciti al massimo e poi riposa per un periodo di tempo abbastanza lungo da permettere al corpo di recuperare e di supercompensare” deriva appunto dalla teoria della supercompensazione.

Le definizioni sono tante, e tutte simili, ne copio una a caso: “La supercompensazione è un processo fisiologico che si verifica al seguito di un lavoro muscolare, che porta il tessuto muscolare dapprima ad una fase di stress (fase catabolica) e dopo, a seguito di riposo muscolare, ad una fase di crescita ed adattamento muscolare superiore al punto di partenza (fase anabolica).

Per renderla più immediatamente comprensibile basta guardare il grafico della supercompensazione.

Siamo ad un certo livello (in certi grafici viene chiamato “stato di forma”), si introduce uno stressor (in questo caso l’allenamento), quindi induciamo affaticamento, lo stato di forma scende.
C’è una fase di riposo in cui il corpo ripara i danni e ripristina le riserve energetiche depauperate, ma siccome il corpo è “furbo”, si prepara a resistere qualora intervenisse di nuovo lo stressor, e dunque si setta su un livello di base più alto di quello precedente.

Stimoli allenanti e recuperi ottimali ripetuti porterebbero ad alzare sempre di più il livello “base”.

Questa teoria applicata all'allenamento deriva da una teoria più generale formulata nel 1936 da Hans Hugo Bruno Selye che recitava: “Se un organismo è danneggiato da un agente nocivo aspecifico (es. freddo, agenti chimici, esercizio fisico eccessivo), appare una sindrome (un insieme di sintomi) tipica. Questa sindrome è indipendente dal tipo di danno e rappresenta così una risposta in se, generica.
Questo insieme di sintomi viene definito GAS, General Adaptation Syndrome.

Selye descriveva poi gli adattamenti che avvenivano nei ratti in risposta ad uno stress di intensità non letale.

Questa teoria è stata poi ripresa, rielaborata e applicata all'allenamento. Se vi interessa approfondire vi segnalo questa serie di articoli del grande Paolo “IronPaolo” Evangelista, conosciutissimo sul web e autore del libro “DCSS: Power Mechanics fot Power Lifter”.

Io qui mi limito a riprendere qualche sua conclusione, cioè il concetto che mi interessa di più:
L’intensità dello stressor deve essere giusta, se lo stress è troppo intenso non si produce una “reazione di allenamento” che quindi porta a migliorare il nostro livello, ma appunto una “reazione da stress” che manda in crisi tutto il sistema che si adopererà semplicemente per sopravvivere.

E, mi spiace dirvelo, l’ipertrofia muscolare non è indispensabile per sopravvivere.

Quindi da qui si capisce che lo “spingi sempre al massimo” non consente di modulare lo stimolo nel modo ottimale.

Inoltre, facendo in questo modo, siccome non esistono tempi “standard”, come faremo a sapere quando il corpo ha “supercompensato” ed è pronto per un nuovo allenamento?

Date queste premesse, non me ne vogliano i fautori dei metodi che prevedono allenamento breve-intenso-infrequente (cioè picchia duro su un gruppo muscolare poi lascialo riposare per almeno una settimana), ma penso proprio che per un natural (persona che non fa uso di doping) non siano le metodologie migliori per lo sviluppo muscolare.

(Dico natural perchè negli atleti doped cambia tutto, la risposta del sistema agli stress è enormemente incrementata dall’uso di sostanze esogene).

Questo per vari motivi: come già spiegato allenamenti a “cedimento” causano un grande stress “sistemico”, dunque il corpo, che è intelligente, si adopererà per rimettere a posto la situazione globale e, credetemi, l’ipertrofia muscolare è molto in basso nella scala delle priorità, proprio perché non indispensabile alla sopravvivenza.

Un altro fattore è la frequenza di allenamento (cioè appunto quanto frequentemente alleniamo lo stesso gruppo muscolare, o meglio, nelle mie metodiche meglio dire una catena muscolare, un movimento).

Per migliorare in un gesto è necessario ripeterlo, ripeterlo, ripeterlo.

Lo sanno molto bene tutti quelli che praticano sport a livello agonistico: pugili che provano centinaia di volte una combinazione, pallavolisti che provano e riprovano la battuta o la schiacciata, calciatori che ripetono mille volte i calci di punizione.

Perché nel mondo della ghisa dovrebbe funzionare in modo diverso?
Certo molti penseranno “beh ma il mio obiettivo è far crescere il pettorale, non diventare forte nella panca piana”. Vero, ma fidatevi, se diventerete forti nella panca la crescita del pettorale sarà solo naturale conseguenza.

Quindi secondo voi che senso ha allenare un gesto solo una volta a settimana?

John Broz, un tecnico americano di Pesistica e Crossfit , ha detto:
“If your family was captured and you were told you needed to put 100 pounds onto your max squat within two months or your family would be executed, would you squat once per week? Something tells me that you’d start squatting every day.”

Tradotto:
“Se la tua famiglia venisse rapita e ti dicessero che per evitare la loro morte tu devi aumentare di 50 Kg il tuo massimale di squat, ti alleneresti a squattare solo una volta a settimana? Qualcosa mi dice che inizieresti ad allenarlo tutti i giorni”

Ecco, direi che è eloquente, questo è il concetto.
Anche perché, parliamoci chiaro, in quale sport avete visto atleti che si allenano con frequenza settimanale?

Inoltre c’è da dire un’altra cosa: parrebbe dimostrato che già dopo 48 ore di non esecuzione di un gesto, inizi lentamente a decrescere la capacità di reclutare le unità motorie per quel gesto specifico.

Quindi, in parole povere, se non ripetete spesso un gesto specifico, la vostra capacità di compiere quel determinato gesto diminuisce. Sostanzialmente, una frequenza di allenamento bassa può diventare deallenante.

Però abbiamo parlato precedentemente del cedimento e del fatto che causa uno stress sia sistemico che locale che deve essere “riparato” prima di poter essere nuovamente efficienti nell'allenamento.

Ecco dunque che nasce un dilemma: come faccio a spingere sempre alla morte se poi devo dare tempo al mio corpo di rimettere a posto la situazione, ma quest’attesa rischia di essere deallenante?

Se avete seguito il mio discorso fino a qui credo abbiate già dedotto la risposta: è decisamente meglio limitare il cedimento in modo da essere in grado di allenarvi con una frequenza maggiore.

Altro punto a sfavore del cedimento: se vi prefissate sempre di arrivare “finiti” all'ultima ripetizione, se non siete più che esperti (e anche in questo caso ci sarebbe da discutere) è inevitabile che la tecnica si deteriori.

Pensate a quell'ultima ripetizione di panca piana: siete cotti, ma dovete tirarla su.

Ecco che iniziate a perdere l’adduzione delle scapole, anteriorizzate le spalle staccandole dalla panca, mandate il bilanciere fuori traiettoria. Insomma trovate dei compensi tecnici, delle “scorciatoie” per chiudere lo stesso quell'ultima alzata. Beh, in questo caso, se la vostra intenzione era di “sfinire il pettorale”, ho una brutta notizia da darvi: state usando tutto tranne il pettorale.

Si, perché con questo tipo di “cheating” (letteralmente barare, cioè come dicevo prima usare dei compensi che permettano di chiudere la ripetizione in qualsiasi modo) sicuramente il focus si sposta dal muscolo target a tutti gli altri muscoli che si attivano per cercare di mandar su il bilanciere in qualche modo.

Ora vediamo invece qualcosa di positivo
Per migliorare è necessario impostare una progressione: guardando le schede del frequentatore medio delle palestre si vedrà un abuso di 4×10 (o 4×8, o 3×10, il concetto è lo stesso).

E magari lavorando con “ultima ripetizione target” cioè pensando di arrivare a tirare al massimo l’ultima ripetizione. E’ vero che si può (inizialmente) pensare di incrementare di settimana in settimana di “un pochino”, con dei microcarichi, ma l’aumento sarà minimo dunque la variazione di stimolo non sarà sufficiente a produrre un miglioramento, e inoltre si arriverà velocemente allo stallo e non si riuscirà più a fare nemmeno il piccolo incremento settimanale.

Questo perché, come dice la accomodation law: “Un qualsiasi sistema biologico sottoposto a stimoli costanti risponde con adattamenti decrescenti”.

Gli stimoli descritti prima possiamo ritenerli costanti in quanto l’aumento è minimo, questo significa che dapprima avremo un adattamento (inteso come miglioramento) che tenderà rapidamente a decrescere fino ad arrivare allo stallo dopo poche settimane.

Invece dobbiamo sapere impostare una progressione, cioè saper modulare lo stimolo in modo crescente, ma fattibile.

Un esempio semplice-semplice e banale-banale, ma che ho utilizzato (su atleti non avanzati) con successo è il seguente.

L’idea è di fare i vari step mantenendo sempre lo stesso carico:
Settimana 1: 4×4
Settimana 2: 5×4
Settimana 3: 6×4
Settimana 4: 4×5
Settimana 5: 5×5
Settimana 6: 6×5

Quindi, l’obiettivo è arrivare a fare, dopo sei settimane, un 6×5 con lo stesso carico con cui inizialmente si riusciva a fare solo 4×4.

Ovviamente come avete visto, in questo caso la progressione non è sul carico, ma sul volume di lavoro.
Si inizia aggiungendo una serie ogni settimana, in modo da sviluppare una buona capacità di fare volume con quel carico.
Poi si scalano di nuovo le serie ma si aggiunge una ripetizione, passaggio impegnativo.
Al quel punto si mantengono le 5 ripetizioni ma si aggiunge nuovamente una serie ogni settimana.

Ripeto, questo è uno schema semplicissimo e banale, ci sono progressioni ben più utili e complesse, ma era per rendere l’idea di cosa intendo.

Chiaramente per riuscire a chiudere una progressione di questo tipo, non bisogna sbagliare il setting del carico la prima settimana, perchè se si mettono troppi kg, arrivando già a cedimento al primo step, non si riuscirà a finire il programma.
E’ dunque necessario lasciare inizialmente un minimo di "buffer".
Lasciare buffer significa lasciare margine. Se prendiamo un peso con cui riusciremmo a fare al massimo 8 ripetizioni, ma lo usiamo per farne solo 7 abbiamo lasciato una ripetizione di buffer, e così via.

Quindi, siamo al punto clou, riassumiamo… abbiamo detto no cedimento (o comunque non sempre), no cheating, no stimolo costante.
Ok, ma allora…cosa dobbiamo fare?
Un po’ di linee guida:

Concentratevi sugli esercizi fondamentali e cercate di migliorare in quelli:
  • Sicuramente, panca piana e squat. E magari lo stacco, ma a parer mio non per tutti.
  • Poi trazioni, military press, rematori, affondi.
E basta, questa è la base.

Poi se proprio volete aggiungere qualche complementare lo potete anche fare, ne parlerò tra poco.
Ma quelli a cui dare la priorità sono questi.

Sul numero di ripetizioni e sul volume:
sui fondamentali il numero di ripetizione deve essere medio/basso. Serie lunghe diventano troppo lattacide, a livello neuromuscolare non si lavora più bene, la tecnica si deteriora.
E inoltre le serie a ripetizioni medio/basse consentono di utilizzare un carico che permetta di reclutare anche le fibre “veloci”, ad alta soglia di attivazione.
(Qui però devo mettere una postilla: per i principianti in realtà è ottimale alzare un po’ il numero delle ripetizioni base. Perchè i neofiti hanno difficoltà ad attivarsi a livello neuromuscolare su serie troppo brevi. Quindi per chi è all’inizio, un range 10-12 reps è migliore, per acquisire la tecnica. Ma una volta finito questo passaggio, abbassare il numero!).
Per quanto riguarda il numero di serie, non abbiate paura di farne troppe. Ovviamente dovete settare il giusto carico e lasciare sufficiente buffer per poter lavorare sempre in modo tecnico.
Negli esercizi fondamentali non dovete aver paura di fare anche 10-12 serie.
Come ho spiegato precedentemente, l’unico modo per migliorare davvero in un gesto è ripeterlo molte volte.

Sulla frequenza:
su questo ho già detto molto, quindi avrete già capito.
Consiglio, nello panca è nello squat, che sono esercizi più tecnici, di farli almeno due volte la settimana.
Se fate stacco anche solo una, perchè è un esercizio molto più “stressante”.

Abbiate un occhio di riguardo per la tecnica:
Lavorateci, lavorateci lavorateci. Pulite la tecnica, evitate, cheating e compensi.
Puntate sulla qualità.

Impostate una progressione:
Vi rimando a quanto detto precedentemente.
Se volete migliorare, non potete somministrare uno stimolo costante.
Qualche paragrafo sopra ho fatto un esempio di progressione banale.

Complementari:
Se a fine allenamento volete fare qualche serie di curl o di push down o di qualche altro complementare, magari ad alto numero di ripetizioni perchè vi piace la sensazione di pompaggio e di bruciore, ok, fatela pure, non è un problema.
Ma limitatela come ho detto alla fine dell’allenamento. Non deve essere quella la base del vostro programma.

Ok, lo so che alcuni concetti vi suoneranno strani perché sono un po’ il contrario di ciò che spesso vi hanno spiegato, ma credetemi: se siete neofiti, la cura tecnica vi permetterà di gettare solide basi per miglioramenti a lungo termine, minimizzando in rischio di incappare in stalli nella vostra crescita.

Se vi allenate da un po’, anche da anni, con i classici sistemi a cedimento, non potrete che avere benifici nel passare a metodi del genere.
Le persone a cui l’ho fatto fare lo sapranno confermare.

Prendo come esempio Alberto, un ragazzo che fa anche varie arti marziali… In circa un anno, passando dai soliti sistemi a cedimento ad una programmazione studiata e incentrata sulla tecnica, il suo massimale di panca piana è passato da circa 90Kg senza fermo al petto a circa 120 Kg con fermo al petto (e fermarsi con la barra al petto, prima di ripartire, toglie anche 10kg di potenziale, quindi se vogliamo l’aumento è ancora maggiore).
L’incremento percentuale, per uno già a quel livello, è decisamente alto.

Magari come massimale assoluto in ottica powerlifting non è gran cosa, ma per uno che fa altri sport, e dunque non si allena a fare solo quello… beh, iniziano a essere bei numeri. E non solo quelli, perché anche a livello estetico il miglioramento è ben visibile.

Con queste direttive, spero abbiate capito a grandi linee come impostare un allenamento.

Autore:
Marco Testa
Link Utili - Fonte/i
Marco Testa - Sito Ufficiale


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